Con un’alternanza che ricorda nobili ascendenze non a caso triestine (fra cui, autori che ascoltiamo con empatia, Mario Zafred, Pavle Merkù, Daniele Zanettovich), Podda accosta 12 numeri, alcuni soltanto strumentali, altri anche vocali, creando ciò che potremmo definire una suite lirica: Le corde dell’aria. Come egli stesso dice, «brani non recenti, molto intimistici», composti tra il 2007 e il 2012, rappresentano «qualcosa che collega passato e presente […] come una foto ricordo». Stilisticamente, queste «musiche antistoriche», il cui titolo provvisorio era L’aria e le corde, non pagano alcun debito ad alcuna ideologia storicistica della musica, né di neoavanguardia né incline a una qualsiasi velleità restaurativa. In esse c’è soltanto emozione, memoria e volontà di comunicazione. Nel significato simbolico e archetipico, che è incommensurabilmente più importante della misura reale e calcolabile, il deserto e il mare non hanno confini, i granelli di sabbia dell’uno e le gocce d’acqua dell’altro ci appaiono come un infinito che è tale se commisurato a uno di noi. La profonda e avvolgente musica di Marco Podda è una “reductio ad minimum”, ma i limiti di questa esiguità sono invisibili, remoti, e si allontanano sempre più.
1. Chanson d’amour perdue
2. Invenzione I Vox clamans
3. Promenade I
4. Promenade II
5. Promenade III Sable mouvants
6. Promenade IV
7. Invenzione II Solitudo
8. Oraison funèbre
9. Invenzione III Bicinium
10. Disgregazioni
11. Le gardien du phare
12. Passacaglia