DIALETTO CARIOCA
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Prendete Gerswhin, Ravel, Cole Porter e Puccini, amalgamateli e rosolateli ben bene al sole tropicale di rio de Janeiro, fateli rotolare nella scarpata spazio-temporale che separa il XX dal XXi secolo carioca, dove il samba, lo choro e il baiano si impigliano fra i capelli e impregnano le fibre dei vestiti, presentategli Villa Lobos e Jobim ed ecco che avrete un’idea approssimativa, ma plausibile, della musica di Guinga. Quando, non molti anni fa ho sentito per la prima volta uno dei suoi dischi l’impatto è stato violentissimo. Da quel momento la musica di Guinga è diventata l’oggetto di una profonda passione. Musica alta e popolare allo stesso tempo. Melodie che si snodano con una naturalezza ed una contabilità incredibile, dal momento che poggiano su percorsi armonici di inusitata e accidentata imprevedibilità e emozione, sparsa a piene mani, con incontenibile necessità. Ma il vero shock l’ho ricevuto ascoltando per la prima volta dal vivo il suo gruppo. Non eravamo in una austera sala da concerti, bensì nella piazzetta di un piccolo paese dell’ Appennino toscano, gremita di un pubblico composto da occasionali avventori locali e da altrettanto “sprovveduti” villeggianti , eppure si respirava un aria diversa, strana. C’era come una bolla d’aria, una tensione ed un emozione speciale che legava quei tre uomini che venivano dall’altro lato del mondo e portavano (scoprirò poi) per la prima volta quella musica così radicata nella storia e nella quotidianità della loro città, Rio de Janeiro, davanti ad un pubblico italiano, che dal canto suo si aspettava quella specie di caricaturale miscuglio di bossa-nova e di veglione dell’ultimo dell’anno che dalle nostre parti si spaccia per musica brasiliana. I tre in questione erano, oltre al nostro Guinga, Paulo Sergio Santos, e Lula Galvao. Il primo è uno dei miei eroi. Uno dei più bei suoni di clarinetto del mondo, un vita passata da solista con l’orchestra sinfonica di rio de Janeiro e col mitico quintetto villa-lobos, di cui è uno dei membri fondatori, per poi incarnare la rinascita dello choro. E poi Lula Galvao, chitarrista come solo il brasile poteva produrre, unico nella sua capacità di essere un enorme improvvisatore in senso prettamente Jazzistico, senza per questo cessare di essere un autorevolissimo esponente di quella scuola di chitarra brasiliana, che ha guadagnato l’ammirazione del mondo intero. Da quella sera il mio sogno è stato quello di avere il disco di quel gruppo, di quello che a mio giudizio è il lato più veritiero, più fedele della musica di Guinga. Questo disco, che rispetto a quel formato originale vede l’aggiunta in alcuni pezzi dello straordinario talento di Jorginho do trompete, è il coronamento di quel sogno.
Gabriele Mirabassi
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