WRITING 4 TRANE
€13,92
In stock
Questo è il terzo album della saga di Living Coltrane, un gruppo nato per testimoniare la passione dei suoi membri per il mondo musicale di John Coltrane, e se i primi due Cd erano interamente dedicati a brani del repertorio del grande maestro afroamericano, senza alcuna volontà di realizzare un progetto iper concettuale né, tantomeno, un tributo, ma con il semplice desiderio di suonare quella musica con tutta la freschezza, l’entusiasmo e la bravura possibili, quest’ultima produzione segna una svolta significativa. Il quartetto propone infatti soltanto composizioni originali di Cantini e Maccianti, scritte certamente pensando a Coltrane e a un momento particolare della sua complessa vicenda artistica, ma senza perdere di vista le peculiarità del modo di comporre dei due autori. Qui si scrive “per “ Coltrane, non “come “ Coltrane, anche se la fonte di ispirazione dei brani è certo legata al suo universo espressivo e alla sua lezione sul modo di “comporre per la performance “. Così, pur nell’originalità del tratto, possono emergere relazioni con il dedicatario svelate da qualche frammento di tema, oppure nel climax stesso di una musica dove troviamo la memoria di Coltrane vivificata da un quartetto di grande esperienza e affiatamento. Naturalmente un’operazione di questo tipo richiedeva di affrontare il momento poetico di Coltrane più vicino alla sensibilità dei musicisti di questo quartetto e l’impressione è che, per sposare il senso melodico e la sottile tensione espressiva che pervade il gruppo, la scelta sia caduta sul Coltrane dell’ultima fase del sodalizio con Tyner, Garrison e Jones, in particolare su quelle opere, riflessive e spirituali, che il Maestro ha inciso verso la fine del 1964, come la troppo poco considerata Crescent e la celeberrima A Love Supreme. Così, l’ascolto di Mr.Kay Double You sembra riferirsi a Resolution, secondo movimento di A Love Supreme, con una cellula tematica che funge da incipit per il luminoso crescendo delle improvvisazioni, laddove il pedale che sorregge il ritmo afrolatino di Rush rimanda proprio all’apertura dello stesso album. Del resto, in Cantini troviamo forse una più diretta aderenza alla poetica coltraniana e riferimenti meno impliciti alle sue composizioni e interpretazioni, a partire dal ricordo dell’improvvisazione di My Favorite Things nelle sinuose e ipnotiche spirali del sax soprano in Aria di mare, dalla melodia di carattere mediterraneo così tipica del tratto compositivo del suo autore, che ritroviamo in un altro brano dal tempo lento come Julius Reubke (pianista e compositore tedesco morto a 24 anni e allievo, tra i prediletti, di Liszt), la cui insinuante melodia comunica una profonda serenità spirituale. E, ancora, nel tema meloritimico di Uscita a est, che riprende una pratica del Coltrane compositore, cioè la capacità di costruire temi molto caratterizzati e dalla funzione eminentemente ritmica. Simile, ma con significative differenze, lo stile di scrittura di Francesco Maccianti, che da pianista non ha sperimentato concretamente l’approccio sassofonistico al mondo coltraniano affrontato da Cantini, sottraendosi anche a un influsso troppo diretto con quello di Tyner, anzi assimilandone la lezione all’interno di una intereressante simbiosi tra tonalismo e modalismo. Ciò nonostante, anche i suoi brani assorbono comunque la poetica riflessiva del Coltrane immediatamente precedente alla fase allucinata e mistica che verrà inaugurata con Ascension. Per questo il clima e la struttura blues (o, meglio, bluesy) di Seeds, riflette una chiarezza narrativa priva di qualsiasi tensione, laddove Batch-Hombres propone una rilassata dimensione collettiva nella distribuzione dei ruoli, con l’ambiguità poliritmica che fa circolare la musica tra i vari strumenti, mentre Sunset presenta una melodia penetrante e di non facile decifrazione, ma sempre legata a una situazione espressiva fortemente rilassata e meditativa. Se il pianista e il sassofonista sono l’anima del progetto, che stavolta si trasforma in un vero e proprio concept album, il quartetto è però un organismo unitario, che respira all’unisono e condivide globalmente lo spirito della musica. La batteria di Piero Borri presenta la danzante e poliritmica elaborazione del beat, sempre implicitato, mai direttamente espresso, che fa parte del lascito di Elvin Jones, a cui si aggiunge una concezione melodica nel trattamento del ritmo che ce lo fa avvertire più vicino alla nostra sensibilità odierna. Il contrabbasso dal suono definito quanto profondo di Ares Tavolazzi evita di fare unicamente da ancora, da piedistallo granitico delle strutture, per addentrarsi sin nelle trame più interne della musica, che poi è l’essenza stessa dell’interplay, pur senza mancare di fornire quel sostegno che in meccanismi di questo tipo, legati a un incessante work-in-progress, si rivela imprescindibile. Così, lo sguardo a Coltrane, quindi a un preciso periodo storico del jazz, è qui tanto più efficace quanto meno si dimostra legato alle prassi e, molto di più, alle conseguenze possibili di quella esperienza, che viene trasformata dalla sensibilità e dalle nuove linee espressive dei jazzisti del nostro tempo. Maurizio Franco
1 Rush 8’44
2 Sunset 8’07
3 Batch-Hombres 8’59
4 Julius Reubke 5’41
5 Mr Kay double you 4’27
6 Aria di mare 5’08
7 Uscita ad est 8’54
8 Seeds 10’00